Il grande campione è stanco di un ambiente che non gli piace più, che gli ha tolto la voglia di correre pur se ancora vincente. Per quanto mi riguarda lo capisco e lo ammiro
Stoner non si diverte più e ha deciso di ritirarsi? Come lo capisco! Ricordo perfettamente quando a Phillip Island, nella sua Australia, direi nel 2002, questo ragazzino mi venne presentato da Wayne Gardner col consiglio: “Tienilo d’occhio, perché ha la stoffa del campione”.
Era, appunto, un ragazzino. E la stessa cosa mi capitò a una festa di moto club, a Forlì, quando Loris Reggiani mi presentò il giovanissimo Marco Melandri, dandomi lo stesso consiglio. Poche settimane fa Davide Tardozzi mi ha fatto segnare il nome di un bambino – perché di un bambino ancora si tratta – assicurandomi che è un campione nato, e non solo perché vince a man bassa nelle minimoto, ma perché a suo giudizio – e non c’è dubbio che lui i campioni li conosca – ha anche il temperamento e la mentalità del talento naturale. Presto vedrò se ha colpito nel centro.
La generazione che è al potere nel motociclismo agonistico odierno è quella delle minimoto, è quella dei bambini cresciuti a pieghe, pistoni, telai ed elettronica. È quella dei campioni che a otto anni sanno già vincere e a dieci rilasciano interviste dichiarando con la massima serietà “Ieri non eravamo del tutto a posto, ma la squadra ha svolto un ottimo lavoro e questa mattina nel warm up le cose sono migliorate nettamente. Sono felice di aver ottenuto un eccellente risultato, soprattutto perché i miei avversari mi hanno impegnato al massimo. Questa comunque è solo una gara; la strada per il titolo è ancora lunga”.
Stoner è uno degli esponenti di spicco di questa generazione. Ha cominciato a correre prestissimo, probabilmente con una enorme passione, ma non per il motociclismo agonistico, bensì per questo gioco diverso, affascinante, coinvolgente, che lo proiettava con autorevolezza nel mondo fatato dei grandi, che lo poneva su un piano ben più elevato rispetto ai suoi coetanei. La passione che può esprimere un bambino è enormemente diversa da quella di un ventenne: si chiamano allo stesso modo, ma non sono nemmeno parenti.
La precocità ormai eccessiva con cui questi talenti vengono selezionati verso il loro destino fa sì che la carriera venga anticipata tanto da concludersi necessariamente prima di quanto era usuale anni fa. Non accade solo nel motociclismo, ma anche in altri sport, come ad esempio la ginnastica artistica. E Stoner in questo parallelo mi richiama alla mente Nadia Comaneci, un autentico fenomeno che pagò pesantemente i pochi anni in cui il mondo intero l’aveva celebrata.
Io penso che Casey sia stanco di questo ambiente che gli ha dato sì la fama, la ricchezza, ma che l’ha anche spremuto a fondo mandandolo in crisi più volte. Lui non è Valentino Rossi, non è poliedrico, non sa far innamorare la gente, non ama i giornalisti che a loro volta non lo amano, anzi quasi ridicolizzano la sua incapacità di essere “personaggio”.
Lui e la televisione sono agli antipodi, come l’Italia e l’Australia. E la televisione oggi detta le regole, a mio parere perverse, che hanno trasformato lo sport, così come il costume e anche il giornalismo. In questo, Stoner ed io abbiamo qualcosa in comune: siamo stanchi di un mestiere che abbiamo tanto amato e del quale non apprezziamo l’evoluzione. Adesso il grande campione, così come fece il politico Cincinnato all’epoca degli antichi romani, ha deciso di lasciare la vita pubblica e di rifugiarsi nel privato. E annuncia che si porrà altri obiettivi. Come si dice su Facebook? Mi piace!
L’unica cosa che non mi piacerebbe sarebbe un ritorno. Pino Allievi, giornalista bravo, esperto e riflessivo della Gazzetta, lo prevede, e forse ha ragione: passare dai riflettori sempre accesi all’isolamento è difficile, ma se c’è qualcuno che può farcela, si chiama Stoner.
Rivola